La questione che veniva posta all’attenzione dello Studio Legale BFLAW poggiava sulla debenza o meno del tributo denominato IRAP e corrisposto negli anni da alcuni professionisti. Si riporta di
seguito il parere rilasciato dall'Avv. Gabriele Babbucci e dall'Avv. Tommaso Flori.
"Per rispondere al quesito si rende necessario da un lato esaminare la normativa vigente, ovvero il D.Lgs. n. 446 del 15.12.1997 (e ss. modifiche, v. in particolare art. 1, co. 125, della
L. n. 208 28.12.2015), istitutivo dell’imposta de qua e dall’altro l’enorme produzione giurisprudenziale, di merito e di legittimità, in subiecta materia.
Si tratta, come noto, di un’imposta strettamente collegata al fatturato di Aziende, Enti e Liberi professionisti. Presupposto dell'imposta è difatti “l'esercizio abituale di una attività
autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi” (art. 2, co. 1, del D. Lgs. n. 446/1997). La questione oggetto di fondamentale
attenzione è senza ombra di dubbio rappresentata dalla qualificazione giuridica del requisito dell’autonoma organizzazione.
é principio consolidato, tuttavia, che le attività di impresa e le professioni intellettuali, siano disciplinate separatamente in quanto caratterizzate da differente natura.
Infatti, l’attività di impresa si basa sull’organizzazione che è data da un complesso di beni strumentali funzionalmente collegati tra loro al fine dell’esercizio dell’impresa, tanto da assumere
le caratteristiche di un quid pluris rispetto all’attività di lavoro 11personale dello stesso imprenditore.
Diversamente, nell’ambito dell’attività di lavoro autonomo, l’organizzazione dei fattori produttivi è di regola assente. In modo particolare, nelle c.d. professioni intellettuali o protette, non
è assolutamente configurabile, in via di principio, l’esistenza di un’organizzazione di beni che possa funzionare separatamente e indipendentemente dall’intervento del professionista.
Le attività professionali quali quelle del medico o dell’avvocato, non possono svolgersi senza l’apporto del professionista. Ne discende che per quanto possa essere minima o ampia e sofisticata
l’organizzazione professionale della quale egli si serve, la sua presenza nell’esercizio dell’attività sarà sempre indispensabile; sarà sempre e comunque necessario fare riferimento alla presenza
personale del professionista perché l’attività di questi possa effettivamente svolgersi.
Il concetto di “autonoma organizzazione” va quindi valutato in chiave qualitativa, non già quantitativa. In particolare, si configura l’autonoma organizzazione laddove vi sia una struttura in
grado di funzionare anche in assenza del titolare. Laddove, invece, l’apporto personale del professionista è indispensabile (ad esempio nelle prestazioni caratterizzate da intuitu personae) non
vi potrà mai essere un’autonoma organizzazione.
In tal senso l’indagine sulla natura della prestazione, pertanto, assorbe quella di carattere quantitativo incentrata sulla “dimensione” dei fattori produttivi organizzati dal professionista
(beni strumentali, lavoratori dipendenti e collaboratori, forme di finanziamento, etc.).
In consonanza a tale principio è stato ritenuto dalla giurisprudenza che non si possa trarre l’esistenza di una autonoma organizzazione sulla base del mero valore dei beni strumentali e degli
altri indici senza considerare la natura dell’attività.
[omissis]
Per quanto concerne, altresì, l’eventuale presenza di lavoratori dipendenti (es. segretario/a) all’interno dell’organizzazione del professionista, all’esito di un contrasto giurisprudenziale
decennale, le Sezioni Unite della Cassazione, con Sentenza n. 9451 del 10.05.2016, sono giunte ad affermare un fondamentale principio di diritto. In linea generale, affinché
possa concretizzarsi il presupposto impositivo è necessario che il professionista si avvalga di lavoro altrui che non sia qualificabile come semplice lavoro di segreteria o mansioni meramente
esecutive. Dunque perché il lavoratore rechi realmente all’organizzazione del professionista un apporto significativo occorre che le mansioni svolte dal collaboratore non occasionale concorrano o
si combinino con quel che è il proprium della specifica professionalità espressa nella "attività diretta allo scambio di beni o di servizi", di cui fa discorso il D.Lgs. n. 946 del 1997, art. 2.
E' infatti in tali casi e solo in questi che può parlarsi, per usare l'espressione del Giudice delle leggi, di "valore aggiunto" o, come ritiene la Sezione Tributaria della Cassazione, di "quel
qualcosa in più”. Diversa incidenza assume pertanto l'avvalersi di lavoro altrui quando questo si concretizzi nell'espletamento di mansioni di segreteria o meramente esecutive, che rechino
all'attività svolta dal contribuente un apporto del tutto mediato o, appunto, generico.
P.Q.M.
Alla luce di quanto esposto, risulta di palmare evidenza a parere degli scriventi, la sussistenza, in linea generale, del diritto al rimborso delle somme versate in presenza dei presupposti
enucleati."
05.10.2016
Avv. Gabriele Babbucci Avv. Tommaso Flori