1. Cos'è il concordato preventivo.
Il concordato preventivo è quello strumento che la legge mette a disposizione dell'imprenditore, in crisi o in stato di insolvenza, al fine di evitare la
dichiarazione di fallimento per mezzo di un accordo destinato a portare ad una soddisfazione anche parziale delle ragioni della massa dei creditori.
L'aggettivo "preventivo", appunto, denota questa sua principale funzione ovverosia quella di prevenire la dichiarazione di fallimento che potrebbe seguire ad uno
stato di dissesto finanziario.
Il concordato preventivo è regolato dalla Legge Fallimentare (ossia dal Regio Decreto n. 267 del 16 marzo 1942) che negli ultimi anni ha subito una serie di
interventi da parte del legislatore che hanno in qualche modo "ristrutturato" l'istituto con il principale obiettivo di favorire il risanamento e soprattutto la prosecuzione dell'attività di
impresa.
Lo scopo del concordato preventivo non è solo quello di tutelare l'imprenditore in difficoltà, ma anche i creditori. Infatti, se da un lato il debitore con
l'accesso alla procedura può paralizzare ogni possibile azione esecutiva nei suoi confronti e mantenere l'amministrazione dell'impresa, sia pure con determinati limiti, i creditori, dal canto
loro, possono evitate l'attesa dei tempi lunghi necessari per portare avanti la più complessa procedura fallimentare e conseguire, così, in tempi relativamente brevi il soddisfacimento quantomeno
parziale del proprio credito.
2. I requisiti per l'ammissione.
2.1. Il presupposto soggettivo è individuato dall'art. 160 L.F. a norma del quale l'ammissione alla procedura concordataria richiede la qualità di imprenditore
commerciale, collettivo o individuale, del debitore che superi i limiti dimensionali di cui all'art. 1 L.F.. Sono dunque esclusi dalla procedura di concordato preventivo come pure dal fallimento
gli imprenditori che: a) hanno avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza o dall'inizio dell'attivita' un attivo patrimoniale annuo non superiore a 300mila Euro; b)
hanno realizzato nello stesso periodo ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200mila euro; c) hanno un ammontare di debiti non superiore a 500mila euro. Tali limiti sono
aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia
Secondo il tenore letterale della norma l'imprenditore che si trova in stato di crisi o in uno stato di insolvenza puo' proporre ai creditori un concordato
preventivo sulla base di un piano che puo' prevedere: i) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma; ii) l'attribuzione delle attivita' ad un
assuntore; iii) la suddivisione dei creditori in classi con trattamenti differenziati tra le diverse classi ma senza alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione.
Un'interessante novità è quella che prevede la possibilità di prevedere nella domanda di concordato che i creditori privilegiati o muniti di pegno o ipoteca, non
siano soddisfatti per intero a patto che il piano ne preveda "la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di
liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei
requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d)".
Non sono più richiesti, come un tempo, i c.d. requisiti di meritevolezza soggettiva dell'imprenditore ricorrente (l'iscrizione nel registro delle imprese del
ricorrente, la regolare tenuta della contabilità nel biennio precedente, l'assenza di procedure concorsuali a proprio carico nei cinque anni precedenti, il non essere stato condannato per
bancarotta o per delitto contro il patrimonio, fede pubblica), tuttavia l'art. 173 L.F. prevede che il compimento di attività consapevolmente dirette ad alterare il soddisfacimento dei creditori,
come l'occultamento o la dissimulazione di parte dell'attivo comunque il compimento di atti finalizzati a frodare le ragioni creditorie, possano comportare l'apertura d'ufficio del procedimento
per la revoca dell'ammissione al concordato con consequente declaratoria di fallimento (se ne sussistono i presupposti).
2.2. Presupposto oggettivo. La presentazione della proposta concordataria presuppone che l'imprenditore si trovi in stato di crisi o in stato di insolvenza.
L'attuale formulazione dell'art. 160 L.F., non prevede più che il concordato possa essere richiesto fino a che non sia intervenuta sentenza di fallimento. Si è posto pertanto il problema del
rapporto intercorrente tra domanda di concordato preventivo e procedimento per la dichiarazione di fallimento. A seguiti di difformi orientamenti giurisprudenziali e dottrinali è poi stato
ritenuto da numerose pronunce di merito che la presentazione della domanda di concordato, pur non comportando l'improcedibilità delle istanze di fallimento, ne comporti solo la sospensione fino
al momento in cui non sia intervenuta una valutazione di ammissibilità del presentato concordato. Si è perciò parlato di coordinamento organizzativo. Le SS.UU. della Suprema Corte di Cassazione
con sentenza n. 1521 del 2013 hanno parlato di rapporto di consequenzialità.
3. La competenza.
Il ricorso per l'ammissione alla procedura deve essere presentato dinnanzi al Tribunale del luogo in cui l'impresa ha la propria sede principale che per lo più
coincide con la propria sede legale e potrebbe coincidere con la sede amministrativa. Il trasferimento della sede principale intervenuto nell'anno precedente alla domanda di ammissione non rileva
ai fini della competenza.
4. Gli organi del concordato preventivo.
Gli interventi normativi che si sono susseguiti nel tempo hanno configurato sempre di più il concordato preventivo come strumento principe atto a conseguire il
superamento della situazione di crisi in cui versi una attività produttiva. Detti interventi hanno, da un lato teso a privilegiare l'aspetto privatistico e dunque il raggiunto accordo tra
creditori e debitori e dall'altro lato reso il Tribunale un organo preposto essenzialmente ad un controllo di legittimità sull'attività dell'impresa debitrice.
Quali sono dunque gli organi della procedura e qual è il loro ruolo.
- IL PROFESSIONISTA ATTESTATORE. A partire dal D.L. 83/2012 c.d. “Decreto sviluppo” è stato notevolmente rafforzata la figura ed il ruolo riconosciuto al
professionista attestatore. L'art. 161 co. 3° L.F. dispone che il piano di risanamento della crisi e tutta la documentazione prodotta dall'imprenditore, unitamente alla domanda di ammissione al
concordato preventivo, debbano essere accompagnati da una “relazione di un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), che
attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. Analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano”.
Per quanto riguarda il piano il professionista deve verificare che esso sia concretamente attuabile, in relazione agli obiettivi perseguiti e dunque se il piano sia
liquidatorio o di ristrutturazione e se preveda la continuità dell'attività di impresa o meno.
Recente giurisprudenza di merito ha ritenuto che il professionista attestatore debba rendere una vera e propria dichiarazione nella quale, oltre ad affermare il
possesso dei requisiti e l'assenza delle incompatibilità, deve precisare espressamente di non aver prestato negli ultimi cinque anni, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in
associazione professionale, attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero di aver partecipato ad organi di amministrazione o controllo dello stesso. In presenza poi di
modifiche sostanziali della proposta o del piano la relazione dovrà essere ripresentata.
- IL RUOLO DEL TRIBUNALE. Dal deposito della domanda il tribunale fallimentare è l'organo di riferimento dell'intera procedura, dotato di potere di
controllo sull'intero svolgimento della procedura. Le prerogative che la Legge Fallimentare attribuisce al Tribunale sono le seguenti: 1) giudica sull'inammissibilità od ammissibilità al
concordato preventivo; 2) nomina il giudice delegato ed il commissario giudiziale; 3) con decreto di fissazione del termine per il deposito della proposta e del piano deve disporre gli obblighi
informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell'impresa e l'attività compiuta ai fini della predisposizione della proposta e del piano, che il debitore deve assolvere con
periodicità almeno mensile e sotto la vigilanza del commissario giudiziale, se nominato, fino alla scadenza del termine fissato; 4) prima del decreto di ammissione alla procedura, può autorizzare
lo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione alla data di presentazione del ricorso, ove ciò sia richiesto dal debitore nel ricorso; 5) emette provvedimenti ordinatori per la convocazione
dei creditori, per il deposito delle somme necessarie per l'amministrazione, per la sostituzione del giudice delegato e quella del commissario giudiziale, nonché per la evoca di quest’ultimo; 6)
dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di cui all'art. 163 L.F.. autorizza il debitore al compimento degli atti urgenti di straordinaria amministrazione; 7) formula il giudizio sui
reclami avverso i provvedimenti del giudice delegato di revoca di omologazione, di annullamento e di risoluzione del concordato; 8) provvede, altresì alla nomina, sulla sostituzione e sul
compenso dei liquidatori e del comitato dei creditori, nonché sulla modalità di liquidazione in caso di cessione di beni; 9) pronuncia da dichiarazione di fallimento nei casi previsto dalla
legge; 10) nel caso in cui il debitore presenti una domanda di concordato con suddivisione in classi il tribunale è chiamato a valutare la correttezza dei criteri di formazione delle classi; 11)
verifica la sussistenza dei presupposti sostanziali della qualifica di imprenditore assoggettabile alle procedure concorsuali dello stato di crisi e di fattibilità del piano concordatario; 12)
può concedere al debitore un termine di quindici giorni per apportare integrazioni al piano o nuovi documenti; 13) può stabilire un limite al di sotto del quale il debitore non ha l'obbligo di
richiedere l'autorizzazione del giudice delegato per il compimento di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione; 14) dichiara improcedibile la domanda nel caso in cui il commissario accerti il
compimento di atti di frode o autorizzati, ovvero vengano meno le condizioni di ammissibilità alla procedura.
- IL GIUDICE DELEGATO. Con la riforma del 2005 l'art. 167 L.F. il ruolo del giudice delegato ha subito importanti modifiche essendo essenzialmente dotato
di funzioni di controllo, volte per lo più alla verifica della regolarità della procedura. Ogni valutazione di opportunità economica è di converso riservata ai creditori. Ad ogni buon conto è
opportuno ricordare che per il compimento di determinati atti, è sempre necessaria l’autorizzazione del G.D., pena la loro inefficacia.
I poteri ad oggi spettanti al Giudice delegato sono: 1) disporre, su proposta del Commissario giudiziale, l'investimento della somma depositata per le spese di
procedura; 2) autorizzare con decreto gli atti di straordinaria amministrazione del debitore ai sensi dell'art. 167 L.F.; 3) decidere sui reclami proposti contro gli atti del
commissario giudiziale; 4) autorizzare lo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione alla data della presentazione del ricorso, ove il debitore proponente ne abbia fatto richiesta; 5)
annotare il decreto di ammissione sotto l'ultima scrittura dei libri contabili del debitore; 6) su richiesta del Commissario giudiziale,,ì nominare uno stimatore che lo assista nella valutazione
dei beni e ne liquida il compenso; 7) esercitare un'attività di controllo sull'adempimento del concordato; 8) svolgere la funzione di Giudice dell'esecuzione qualora il
liquidatore dei beni scelga per l'adozione della modalità di vendita previste dal codice di rito, sospendendo le operazioni nei casi previsti dall’art. 108 co. 1 L.F., la cancellazione delle
iscrizioni, delle trascrizioni e di ogni altro vincolo sui beni immobili venduti e sugli atti iscritti nei pubblici registri; 9) emettere il decreto di chiusura della procedura, ordinando lo
svincolo delle cauzioni e delle ipoteche iscritte a garanzia; 10) presiedere l'adunanza dei creditori, verificare la legittimazione e la regolarità degli interventi di tutti i
soggetti che partecipano all'adunanza e di dirigerne la successiva discussione avvalendosi della collaborazione del cancelliere, nonché di regolare le operazioni di voto e controllarne
l'esito.
- IL COMMISSARIO GIUDIZIALE. La figura del Commissario svolge un’attività meno penetrante rispetto alle funzioni che vengono riconosciute dalla Legge al
Curatore fallimentare e non è configurabile una estensione analogica di quanto previsto all'art. 43 L.F.; la ragione di tale differenza può essere individuata nel fatto che il Commissario non
rappresenta il debitore nella procedura. Quest’ultimo è infatti sottoposto al c.d. spossessamento attenuato in virtù del fatto che mantiene l'amministrazione e la disponibilità dei suoi beni e la
legittimazione processuale.
L'art. 173 L.F. ha comunque devoluto a tale organo un potere di controllo sulla legittima prosecuzione del piano, in qualunque momento della procedura. Nel caso in
cui il Commissario accerti che "il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri
atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d'ufficio il procedimento per la revoca dell'ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai
creditori”.
Tra i compiti che il Legislatore attribuisce al Commissario rientra anche il dovere di informativaai creditori, a mezzo lettera raccomandata o PEC, della data di
convocazione innanzi al G.D.
L'art. 172 L.F. individua nello specifico le funzioni del Commissario giudiziale tra le quali rientrano l’obbligo di redigere l’inventario dei beni del debitore
nonché di predisporre una relazione particolareggiata concernente le cause del dissesto, il comportamento del debitore ecc.
- IL LIQUIDATORE. Trattasi di figura eventuale che si rende necessaria esclusivamente nei c.d. concordati con cessio bonorum. Il Tribunale, in detta
circostanza, ha l'onere di nominare con il decreto di omologa uno o più liquidatori e un comitato dei creditori con la funzione di assistere alla liquidazione, determinandone le modalità.
Le
funzioni del liquidatore sono: 1) Ritirare il decreto di omologa del concordato preventivo e provvede alla relativa pubblicità; 2) Predisporre il libro giornale della liquidazione e farlo
vidimare dal giudice delegato per la registrazione di ogni operazione contabile inerente la liquidazione; 3) Informare il comitato dei creditori dell'avvenuta nomina; 4) Prendere in consegna i
beni ceduti e conseguentemente redigere l'inventario alla presenza del legale rappresentante della società concordataria; 5) Procedere alla formazione dell'elenco dei creditori entro e non oltre
sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di omologa, sulla scorta della scritture contabili; 6) Depositare in cancelleria l'elenco dei creditori, e comunicare l'avvenuto deposito a
mezzo raccomandata a/r a tutti i creditori; 7) Presentare annualmente una relazione dalla quale risulti l'attività svolta; 8) Chiedere al giudice delegato di procedere alla nomina di avvocati o
commercialisti ove necessario; 9) Ogni anno presentare un prospetto delle somme disponibili e un progetto di riparto delle stesse, riservando quelle occorrenti alla procedura.
5. Concordato in bianco.
La riforma del 2012 e il successivo intervento del 2013 hanno introdotto, al co. 6 dell’art. 161 L.F. la possibilità per l'imprenditore di depositare il ricorso per
l'ammissione al concordato preventivo con l'unico supporto documentale dei bilanci degli ultimi tre esercizi e dell'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti,
riservandosi di presentare in un secondo momento la proposta ai creditori, il piano concordatario, l'attestazione sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano nonché tutta la
ulteriore documentazione prescritta secondo l'art. 161 L.F. Da qui la qualificazione in gergo di concordato in bianco. In definitiva viene riconosciuta al debitore la possibilità di richiedere
semplicemente l'ammissione alla procedura concordataria mediante il deposito della sola domanda, con conseguenti effetti prenotativi, differendo tuttavia ad un secondo momento la presentazione
dell'ulteriore documentazione. E’ di tutta evidenza come questo meccanismo consenta al debitore di beneficiare anticipatamente della protezione che consegue alla procedura concorsuale in
esame evitando che il proprio patrimonio venga aggredito dai creditori nel periodo necessario per redigere l'ulteriore documentazione. La possibilità di presentare un concordato in bianco
ha posto di fatto non poche difficoltà interpretative ed applicative. Tanto la Giurisprudenza quanto la dottrina si sono poste il problema di quale debba essere il suo contenuto minimo. A tal
proposito è stato sostenuto che debbano essere allegati: 1) i bilanci degli ultimi tre esercizi e l'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti; 2) una situazione
patrimoniale aggiornata per consentire al Giudice la verifica della sussistenza dello stato di crisi; 3) una visura camerale per verificare la competenza del Tribunale.
La giurisprudenza ha
ritenuto che, nel caso di presentazione della domanda in bianco a norma del 161, co. 6°, L.F. il collegio sia chiamato a valutare la sussistenza della competenza per territorio e l'accessibilità
dell'imprenditore alla procedura concorsuale da un punto di vista oggettivo e soggettivo.
A fronte di una domanda di concordato priva di documentazione il Tribunale ragionevolmente non potrà
autorizzare il compimento di atti che accedano l'ordinaria amministrazione. A norma dell'art. 168 L.F. “dalla data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, i creditori per titolo
o causa anteriore alla pubblicazione stessa non possono iniziare o proseguire azione esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore.” A partire da tale momento il debitore può contare sulla
protezione della procedura per il tempo necessario per predisporre il proprio piano. Per evitare il ricorso ad un utilizzo surrettizio dello strumento concordatario sono stati perciò introdotti
gli obblighi informativi periodici con cadenza, almeno mensile, aventi la precipua finalità di tenere il Tribunale adeguatamente informato in ordine alla gestione finanziaria dell'impresa in
crisi a norma dell'ottavo comma dell'art. 161 L.F.
Con decreto motivato ex. art. 161 L.F. il Tribunale fissa un termine non inferiore a 60 giorni, né superiore a 120 giorni per procedere alla
integrazione con la presentazione del piano o della proposta. Se alla domanda di concordato con riserva, non segue, nel termine fissato dal giudice, il deposito del piano, il Tribunale dichiara
inammissibile il ricorso e gli effetti protettivi vengono meno; se il Tribunale ritiene che non vi siano le condizioni dichiara il ricorso inammissibile; se il piano viene presentato nel termine
corredato della documentazione richiesta dalla legge il Tribunale ammette la richiedente al concordato.
6. I vari tipi di concordato.
La proposta del debitore non può avere un contenuto indefinito ma deve risultare in un piano, ossia un programma di azioni coordinate per il raggiungimento degli
obiettivi prefissati. Le norme attualmente in vigore non danno una definizione di piano o di proposta di concordato. La proposta è l'offerta impegnativa di un diverso adempimento/soddisfacimento
delle obbligazioni, secondo una nuova modulazione; indica l'obiettivo da perseguire. Il piano è il programma dettagliato e complesso riferito a singole operazioni, tra loro coordinate al fine di
pervenire al risultato voluto; indica quali sono gli strumenti utilizzati per raggiungere l'obiettivo perseguito. Il piano viene sottoposto all’approvazione dei creditori e per tali motivi la
proposta deve poggiare su di un piano articolato e dettagliato capace di dimostrare tecnicamente come verranno soddisfatti i debiti da parte dell’impresa in crisi.
Con la proposta di concordato l'imprenditore può presentare ai creditori una delle forme tipiche del loro soddisfacimento , come atipiche che prevedano la
dismissione di determinati settori, riduzioni del personale, come potrebbe ricorrere a forme miste.
Possibili contenuti del piano. L'art. 160 co. 1° L.F. dispone che esso possa prevedere “a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso
qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l'attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote,
ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito; b) l'attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un
assuntore; possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate o da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate ad essere
attribuite ai creditori per effetto del concordato; c) la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei; d) trattamenti differenziati tra
creditori appartenenti a classi diverse.” Il Piano deve inoltre indicare i tempi e le modalità di adempimento della proposta.
6.1 IL CONCORDATO CON CESSIONE DI BENI. Esso si pone in ottica liquidatoria permette la cessione di beni facenti parte del compendio mobiliare ed
immobiliare della ricorrente ed il soddisfacimento dei creditori sulla base per ricavato. Esso potrebbe ricomprendere anche beni futuri o rientranti nel patrimonio personale dell'imprenditore nel
caso di ditta individuale o di società di persone. Sono venuti meno invece i limiti percentuali imposti dalla precedente normativi e indirizzati a garantire il soddisfacimento dei creditori. Ogni
valutazione economica resta rimessa ai creditori. La cessione può realizzarsi attraverso diverse modalità: a) Cessione traslativa nel caso in cui venga previsto il trasferimento della proprietà
di beni a tutti o alcuni dei creditori; b) Cessione con garanzia di pagamento dei creditori; c) Cessione con patto di deroga quando il soddisfacimento viene rimesso alla ripartizione del
ricavato della liquidazione senza alcun impegno da parte del debitore sulla misura del soddisfacimento.
6.2 IL CONCORDATO CON ASSUNZIONE IN GARANZIA. La finalità è quella di garantire il mantenimento delle attività aziendali e non la loro liquidazione. Nel
caso di specie l'assuntore si accolla l'obbligo di adempiere alla proposta concordataria, garantendo la soddisfazione del ceto creditorio. Tra le forme più ricorrenti vi è quella del contratto di
affitto di azienda. Il piano deve essere imperniato su un affitto o su una cessione aziendale. L'assuntore si accolla gli obblighi concordatari ma l'art. 160 L.F. non specifica se l'assuntore
possa limitare la propria responsabilità.
6.3 IL CONCORDATO CON CONTINUITA' AZIENDALE. Il decreto sviluppo ha teso a favorire ed incentivare la continuità aziendale, così da garantire il
mantenimento dei livelli occupazionali e favorire la sopravvivenza delle imprese in crisi. Il concordato preventivo dunque non è più concepito come strumento essenzialmente liquidatorio
dell'attività in quanto l'interesse dei creditori spesso e volentieri si identifica con la continuazione dell'attività di impresa. Per questo motivo vengono favoriti quei concordati che prevedano
detta modalità di risanamento. In questa prospettiva all’art. 186-bis L.F. è stato istituzionalizzato il concordato con continuità aziendale. I creditori all’interno di questa procedura sono
soddisfatti non attraverso i proventi della vendita dei singoli cespiti aziendali bensì attraverso i movimenti finanziari derivanti dalla continuità aziendale. Il concordato con continuità
aziendale è definito dall’art. 186-bis L.F. come la procedura che prevede la “la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il
conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione”. Occorre dunque una continuazione dell'attività imprenditoriale anche nel caso in cui il progetto di
risanamento preveda la liquidazione di alcuni beni non funzionali allo svolgimento dell’attività.
In caso di concordato con cessione di beni l'art. 186-bis impone che il piano e la relazione attestatrice abbiano dei requisiti ulteriori rispetto alle altre
ipotesi in particolare il piano non può prescindere dalla verifica del risanamento dell'impresa sia in termini di ripristino di una situazione di equilibrio finanziario che di esclusione che si
prospetti una nuova situazione di insolvenza. Nel piano deve essere specificato che si tratta di concordato con continuità aziendale, dovranno essere indicati in modo analitico e dettagliato
i costi ed i ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività, nonché la descrizione delle modalità con cui si intende finanziare l'attività. In difetto di simili elementi non vi sarebbe
possibilità di valutare la fattibilità della proposta.
Nel piano dovranno poi essere indicati i tempi previsti per l'adempimento della proposta ciò assume un ruolo importante per valutare le l'attività si stia
discostando dagli obiettivi prefissati, l'art. 186 bis L.F. prevede che l'ammissione al concordato può essere revocata qualora mutino le condizioni di fattibilità del piano, in modo tale da
risultare l'esercizio dell'attività " manifestamente dannoso per i creditori. Il concordato con continuità deve essere “funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori” e ciò impone
un raffronto con una proposta di tipo liquidatorio. Inoltre la maggiore convenienza della soluzione prescelta dovrà essere attestata dal professionista incaricato di
predisporre la relazione sulla veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario, il professionista dovrà valutare l'idoneità del piano a superare la situazione di crisi .
esso è dunque chiamato ad effettuare una valutazione di tipo prognostico. Circa i risultati attesi dalla prosecuzione dell'attività e raffrontarli con soluzioni di tipo liquidatorio.
7. Deliberazione dei creditori e Giudizio di omologazione.
All’adunanza dei creditori davanti al Giudice Delegato, il Commissario Giudiziale illustra la propria relazione. Il Giudice apre la votazione necessaria per
verificare il raggiungimento delle maggioranze previste. Coloro che non hanno votato possono far pervenire lo stesso per telegramma, fax, posta elettronica nei venti giorni successivi. Vale
dunque la regola, in caso di mancata espressione del voto, del silenzio rifiuto del piano di concordato. Detta impostazione ha modificato la regola precedentemente in vigore ai sensi della quale
in caso di mancata espressione del voto il silenzio veniva valutato assenso al del creditore al piano proposto (art 178 L.F.).
Decorsi i venti giorni: A) se le prescritte maggioranze non sono state raggiunte il Tribunale fissa un udienza ex art. 162 comma 2 L.F.; B) se la maggioranza è
stata raggiunta il Tribunale fissa l'udienza per la comparizione delle parti e del Commissario. Quest'ultimo entro dieci giorni deposita il proprio parere motivato. I creditori ed ogni altro
interessato potrà proporre opposizione nei trenta giorni successivi. Il Tribunale decise le opposizioni eventualmente proposte decreta l'omologazione. Il provvedimento è reclamabile in Corte
d'Appello nei quindici giorni successivi.
Il decreto di omologa è pubblicato ai sensi dell'art. 17 L.F.. ed è provvisoriamente esecutivo.
Avv. Tommaso Flori